OPPOSIZIONE E REVOCATORIA

OPPOSIZIONE E REVOCATORIA

Azione revocatoria ordinaria (art. 2901 C.C.)

L’azione revocatoria, disciplinata dall’art. 2901 c.c., costituisce uno strumento legale di conservazione della garanzia patrimoniale del creditore. L’azione è preordinata a far dichiarare giudizialmente l’inefficacia, nei confronti del creditore (legittimato attivo), degli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore (legittimato passivo) arrechi pregiudizio alle sue ragioni, per consentire allo stesso creditore di esercitare sui beni oggetto dell’atto l’azione esecutiva ai sensi dell’art. 602 ss. c.p.c. per la realizzazione del credito.

Presupposti soggettivi

I presupposti soggettivi riguardano i tre soggetti coinvolti nell’azione revocatoria.

a) il creditore

L’art. 209 c.c. richiede espressamente nell’istante la qualità di creditore. La presenza di un credito è un presupposto della pronuncia sull’istanza revocatoria e, di conseguenza, in caso di pendenza di controversia sull’esistenza dello stesso credito, il giudizio promosso con l’azione revocatoria è soggetto alla sospensione ex art. 295 c.p.c.

La qualità di creditore è da intendersi in senso ampio. La tutela offerta dalla revocatoria ordinaria, quindi, oltre ad essere espressamente prevista per crediti già esistenti anche soggetti a termine o condizione, viene estesa dalla giurisprudenza anche a semplici aspettative ed a ragioni di crediti eventuali, non assumendo rilevanza a tal scopo i requisiti della certezza liquidità ed esigibilità (Cass. 3981/2003; 1050/1996).

b) il debitore

Il debitore (oltre al terzo) costituisce il legittimato passivo dell’esercizio dell’azione revocatoria. Il debitore è tale in quanto attualmente obbligato nei confronti del creditore istante o semplicemente soggetto di un rapporto di aspettativa.

Rilevanza fondamentale assume l’atteggiamento psicologico del creditore. L’art. 2901, comma 1, n. 1) c.c., infatti, richiede espressamente da parte del debitore la presenza del consilium fraudis il quale è diversamente qualificabile a seconda che l’atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito (che deve essere valutato con riferimento al momento dell’insorgenza effettiva e non al momento del suo accertamento giudiziale).

se l’atto viene posto in essere successivamente al sorgere del credito, il debitore deve essere consapevole del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore;

se l’atto viene posto in essere anteriormente al sorgere del credito la norma richiede una dolosa preordinazione del debitore. In altri termini è richiesta la presenza di un dolo specifico, il che significa che il compimento dell’atto deve essere finalizzato a predisporre una situazione di insolvenza in vista della successiva assunzione dell’obbligazione.

Azione revocatoria fallimentare (art.64-67 legge fallimentare)

E’ lo strumento più diffuso ed efficace per la ricostruzione dell’attivo fallimentare e si fonda sulla presunzione che tutti gli atti compiuti dal fallito nel periodo in cui egli si trovava in stato di insolvenza violano la “par condicio dei creditori” e, pertanto, sono pregiudizievoli per gli stessi: in base a tale presupposto il Curatore non ha l’onere della prova del danno. Il legislatore nella revocatoria fallimentare ha

voluto prescindere dall’aspetto psicologico del fallito sulll’atto compiuto, infatti, il debitore in stato di crisi conosce perfettamente la propria situazione di insolvenza e, effettuando comunque l’atto, si pone nella condizione di chi ha operato con l’intento di ledere le aspettative dei creditori.

L’azione revocatoria fallimentare, che non può essere promossa decorsi 5 anni dalla sentenza di fallimento, è un’azione giudiziaria promossa su iniziativa del Curatore il cui effetto tipico è recuperatorio e restitutorio (e non invalidatorio) in quanto rende inefficaci per il fallimento gli atti pregiudizievoli ai creditori compiuti dal fallito e fa, quindi, rientrare nell’attivo fallimentare beni che sono usciti dal patrimonio del fallito.

L’ azione revocatoria fallimentare riguarda soltanto gli atti compiuti prima della sentenza dichiarativa di fallimento dell’imprenditore, infatti sono automaticamente inefficaci rispetto ai creditori gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti dopo la dichiarazione di fallimento, così come le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi (ad es. iscrizioni ipotecarie).

In merito alla revocatoria fallimentare l’art.67 della legge fallimentare ha distinto 3 categorie di atti:

  • atti a titolo gratuito (atti nei quali il patrimonio del debitore subisce un sacrificio senza alcun corrispettivo) i quali sono privi di effetto rispetto ai creditori se compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, così come i pagamenti di crediti scadenti nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente. Tali atti sono inefficaci per legge, cioè senza alcun bisogno di agire in giudizio.
  • atti a titolo oneroso, pagamenti di debiti scaduti o garanzie che presentino anormalità per i quali, se compiuti nei 2 anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, la conoscenza dello stato di insolvenza è presunta anche se il terzo può provare di aver ignorato l’insolvenza. Tali atti sono, quindi, quelli per i quali c’è la certezza di un’intenzione fraudolenta tra le parti (es. vendita di un bene ad un prezzo irrisorio) 
  • atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che non presentino irregolarità per i quali, se compiuti entro l’anno anteriore la dichiarazione di fallimento, spetta al Curatore fornire la prova che il terzo fosse a conoscenza dello stato di insolvenza al momento del compimento dell’atto: si presume, quindi, la “buona fede“ del terzo.

Nota bene

A seguitodi azione revocatoria fallimentare il Giudice Delegato emana un provvedimento giudiziario con il quale si riporta nel patrimonio fallimentare il bene sottratto dal fallito e venduto ad un terzo, dichiarando l’inefficacia dell’atto.

Di conseguenza si trascrive il provvedimento (formalità cod.33) come un trasferimento di proprietà ripristinando l’intestazione in capo al soggetto fallito. L’I.P.T. va corrisposta in misura proporzionale.

Inoltre, la legge fallimentare riserva una disciplina a parte per gli atti compiuti a favore del coniuge del fallito: l’art.69 della legge fallimentare stabilisce che se il coniuge dell’imprenditore fallito non prova che ignorava lo stato di insolvenza del coniuge sono inefficaci gli atti compiuti tra di essi nel tempo in cui il fallito esercitava l’impresa commerciale.

La sentenza dichiarativa di fallimento ha effetti anche rapporti giuridici preesistenti in particolare nel caso di “contratti pendenti”, cioè quando i contratti sono ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti dalle parti (nei contratti ad effetti reali è necessario che non sia già avvenuto il trasferimento del diritto).

Dalla data di pubblicazione della sentenza di fallimento si verifica immediatamente ed automaticamente la sospensione dell’esecuzione del contratto; qualora il contratto si sciolga la legge riconosce al contraente il diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento.

Tuttavia il fallimento non determina di per sé la risoluzione automatica dei contratti in corso di esecuzione del fallito. Il principio generale è che spetta al Curatore, previa autorizzazione del Comitato dei Creditori, decidere se subentrare ai contratti pendenti al posto del fallito assumendo tutti i relativi diritti ed obblighi, o sciogliersi dagli stessi.

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