CONCORDATO E CONCORDATO CON CONTINUITà AZIENDALE

concordato

Concordato Preventivo

Cosa è il concordato preventivo

Il concordato preventivo è una procedura che la legge mette a disposizione dell’imprenditore, in crisi o in stato di insolvenza, per evitare la dichiarazione di fallimento attraverso un accordo destinato a portare ad una soddisfazione anche parziale delle ragioni creditorie.

Si chiama “preventivo”, appunto, per questa sua principale funzione di prevenire la più grave procedura fallimentare che potrebbe seguire ad uno stato di dissesto finanziario.

Si attua mediante la realizzazione di accordi con i creditori destinati ad essere perfezionati sotto la protezione del tribunale.

Il piano può prevedere: la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; la suddivisione dei creditori in classi; il soddisfacimento parziale anche dei creditori privilegiati.

La domanda di concordato deve essere accompagnata dalla relazione di un professionista qualificato sulla contabilità aziendale e sulla fattibilità del piano.

Durante la procedura, il debitore conserva l’amministrazione dei propri beni, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, il quale deve riferire al giudice delegato.

Una volta approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (e dalla maggioranza delle classi, se previste), il concordato può essere omologato, verificata dal tribunale: a) la regolarità della procedura; b) la convenienza del concordato rispetto alle alternative concretamente praticabili (ma solo in caso di contestazioni). Non è certo invece che il tribunale debba accertare anche la realizzabilità del piano: a questo riguardo, sia la dottrina che la giurisprudenza sono divise.

Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura della procedura (cosiddetta esdebitazione concordataria).

Il concordato preventivo è regolato dalla Legge Fallimentare (ossia dal Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942) che negli ultimi anni ha subito una serie di interventi da parte del legislatore che hanno in qualche modo “ristrutturato” l’istituto con l’obiettivo di favorire il risanamento e soprattutto la prosecuzione dell’attività di impresa.

Lo scopo del concordato preventivo non è solo quello di tutelare l’imprenditore in difficoltà, ma anche i creditori. Infatti, se da un lato il debitore con l’accesso alla procedura può paralizzare ogni possibile azione esecutiva nei suoi confronti e mantenere l’amministrazione dell’impresa, sia pure con determinati limiti, i creditori, dal canto loro, possono evitate l’attesa dei tempi lunghi necessari per portare avanti la più complessa procedura fallimentare e conseguire, così, in tempi relativamente brevi il soddisfacimento quantomeno parziale del proprio credito.
Al di là degli interessi dei soggetti direttamente coinvolti nel procedimento non si può negare che il concordato preventivo soddisfi anche il più ampio e generale interesse della società al mantenimento dell’operatività delle imprese e dei livelli occupazionali.

 

I requisiti per l’ammissione al concordato preventivo

I presupposti soggettivi del concordato preventivo

E’ l’articolo 160 della Legge Fallimentare che individua i presupposti soggettivi per accedere alla procedura di concordato preventivo. Il citato articolo stabilisce che può accedere al concordato soltanto l’imprenditore commerciale, individuale oppure collettivo. L’impresa, inoltre, deve superare i limiti dimensionali descritti dall’articolo 1 della Legge Fallimentare. Sono dunque esclusi dalla procedura di concordato preventivo come pure dal fallimento gli imprenditori che:
– hanno avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza o dall’inizio dell’attività un attivo patrimoniale annuo non superiore a 300mila Euro;
– hanno realizzato nello stesso periodo ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro;
– hanno un ammontare di debiti non superiore a 500mila euro.
Tali limiti sono aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia

L’imprenditore commerciale che possegga tutti i requisiti prescritti dalla Legge può, ai sensi dell’articolo 160 della Legge Fallimentare, proporre ai suoi creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

  • la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
  • l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore;
  • la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra le diverse classi ma senza alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione;
  • trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

Il comma 2 dell’articolo 160 della Legge Fallimentare prevede, inoltre, un’altra interessante opportunità per l’imprenditore che voglia accedere al concordato preventivo. In particolare, l’accordo ci concordato può prevedere “che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d). Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione”.

Ovviamente, la proposta di concordato deve essere redatta in maniera tale da assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. Tale regola subisce una importante eccezione nel concordato con continuità aziendale ex articolo 186-bi della Legge Fallimentare.

Tra i requisiti soggettivi necessari per poter accedere al concordato preventivo non sono più previsti i requisiti di meritevolezza soggettiva dell’imprenditore che richiedeva di accedere alla procedura. Prima della riforma, infatti, la Legge richiedeva anche che l’iscrizione nel registro delle imprese, l’assenza di procedure concorsuali a carico dell’imprenditore nei cinque anni precedenti, la regolare tenuta della contabilità e il non aver subito condanne per i reati di bancarotta o per delitto contro il patrimonio, fede pubblica.

Il presupposto oggettivo del concordato preventivo

Abbiamo visto che il principale presupposto per poter accedere alla procedura di concordato preventivo è lo stato di crisi oppure di insolvenza in cui versa l’imprenditore commerciale. È questo l’unico presupposto richiesto dalla Legge Fallimentare per poter accedere alla procedura. L’attuale articolo 160 della Legge Fallimentare, infatti, non prevede più che il concordato possa essere richiesto fino a quando non sia intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento.

Ed è per questo che, in dottrina ed in Giurisprudenza ci si è a lungo interrogati sul rapporto che sussiste tra il procedimento per la dichiarazione di fallimento e la domanda di concordato preventivo. Secondo una parte della Giurisprudenza e della Dottrina, infatti, la presentazione della domanda di concordato preventivo non determina l’improcedibilità delle istanze di fallimento ma ne comporta soltanto la sospensione. Le istanze di fallimento, in particolare, rimarrebbero sospese fino a quando non intervenga una valutazione sull’ammissibilità della proposta concordataria.

Concordato in continuità aziendale

La continuità aziendale

Il concordato con continuità aziendale è disciplinato dall’art. 186 bis L.F. e trova applicazione nel caso in cui il piano concordatario disponga la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il suo conferimento, sempre in esercizio, in una o più società anche di nuova costituzione.

La prosecuzione dell’azienda

Sulla base di quanto disposto dal citato articolo, è possibile distinguere tra:

  • concordato con continuità diretta: nel caso vi sia la prosecuzione dell’azienda da parte del debitore. L’impresa, quindi, permane in capo all’imprenditore.
  • concordato con continuità indiretta: nel caso di cessione dell’azienda in esercizio o di conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.

Questione fondamentale, pertanto, è che l’impresa continui, producendo quindi reddito, indipendentemente dal soggetto che ne diverrà titolare.
La ratio sottesa a questa tipologia di procedura è quella di preservare le imprese presenti sul mercato.
Anche i Giudici di merito, uno tra tutti il Tribunale di Alessandria, hanno confermato che: “il segno distintivo del concordato con continuità aziendale va individuato nella oggettiva, e non soggettiva, continuazione del complesso produttivo, sia direttamente da parte dell’imprenditore, sia indirettamente da parte di un terzo (affittuario, cessionario, conferitario).”
È bene ricordare, altresì, che l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 186-bis L.F. ricomprende nella categoria dei concordati in continuità, anche il concordato preventivo c.d. misto ossia il concordato che accanto alla prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività ammette la liquidazione di beni non funzionali alla prosecuzione.
Parte della dottrina considera il concordato in continuità come una deroga al principio, previsto dall’art. 2740 c.c., in base al quale il debitore risponde verso i propri creditori con tutto il suo patrimonio. In questo caso, infatti, è evidente che una parte del patrimonio dell’impresa verrà utilizzato per la prosecuzione dell’attività e quindi non potrà essere utilizzato per soddisfare i creditori.

Contenuto del piano

Per accedere alla disciplina del concordato con continuità, l’art 186 bis L.F. detta una serie di contenuti obbligatori che devono essere indicati nel piano di concordato:
1. Innanzitutto, il piano di concordato deve contenere una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;
2. Ulteriore condizione è che la relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, L.F. attesti che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Il piano, poi, può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, 2 comma L.F., una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
In questo caso, i creditori muniti di cause di prelazione non avranno diritto di voto.
Orbene, il piano di concordato deve essere opportunamente dettagliato. Nel caso in cui detto piano risulti lacunoso rispetto ai requisiti testé citati, infatti, il debitore richiedente non potrà essere ammesso alla procedura illustrata.

Commissione Rordorf – legge delega sulla riforma fallimentare

La Commissione ministeriale istituita dal Ministero delle Giustizia, commissione di esperti incaricata di valutare la necessità di ulteriori interventi normativi di riordino della disciplina delle procedure concorsuali, nota anche come commissione Rordorf, si è espressa anche in merito al concordato preventivo.
La legge delega, approvata dalla Camera il 1° febbraio 2017, attualmente all’esame del Senato, all’art. 6 reca i principi e i criteri direttivi della disciplina del nuovo concordato preventivo.
Nel citato articolo, infatti, viene ritenuta l’inammissibilità di proposte di concordato che, in considerazione del loro contenuto sostanziale, abbiano natura essenzialmente liquidatoria.
Con la citata terminologia, in sostanza, è’ come se avessero voluto circoscrivere l’istituto del concordato preventivo alla sola ipotesi del c.d. concordato in continuità.
È stata comunque prevista la possibilità di un concordato preventivo liquidatorio.
Quest’ultimo, però, deve essere caratterizzato da apporto di terzi che consentano di soddisfare le ragioni dei creditori in misura apprezzabilmente maggiore rispetto all’ipotesi fallimentare.
Detta legge delega, propone anche la legittimazione del terzo a promuovere il procedimento nei confronti del debitore che versi in stato di insolvenza, in ogni caso nel rispetto del principio del contraddittorio e con adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore, in caso di successivo inadempimento del terzo.

Concordato fallimentare

L’approvazione e l’omologazione

Una delle forme di chiusura del fallimento è il concordato fallimentare. Grazie ad esso, la procedura di fallimento si conclude con un accordo tra il fallito (oppure un terzo) e i creditori che si impegnano a rispettare determinate condizioni. L’istituto del concordato fallimentare è stato profondamente riformato dal Legislatore. A seguito della riforma, la proposta di concordato può essere avanzata da un terzo oppure da uno o più creditori. Avuto riguardo alle tempistiche, il concordato fallimentare può essere presentato anche prima dell’emissione del decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Ovviamente a patto che i dati contabili e le informazioni disponibili diano la possibilità al curatore di stilare un elenco provvisorio di tutti i creditori del fallito. Questo elenco, come visto in precedenza, deve essere approvato dal Giudice Delegato. Ma quale deve essere il contenuto della proposta di concordato? Scopriamolo in dettaglio.

Concordato fallimentare: il contenuto della proposta

L’art. 124 Legge Fallimentare disciplina il contenuto della proposta di concordato. In particolare, la norma stabilisce che tale proposta possa prevedere la suddivisione dei creditori in classe. Tale suddivisione andrà fatta tenendo conto degli interessi economici omogenei, della loro posizione giuridica. La proposta può altresì contenere trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse: in questo caso dovranno essere indicate le motivazioni. Con la proposta si può anche scegliere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti tramite qualsivoglia forma. Si può inoltre stabilire che non vengano subito soddisfatti integralmente i creditori privilegiati. In ogni caso, la proposta di concordato deve prevedere che questi creditori siano soddisfatti in misura non inferiore a quella che potrà essere realizzata sulla somma ricavata in fase di liquidazione. Si dovrà ovviamente considerare il valore di mercato dei beni o dei diritti. La proposta di concordato fallimentare, ovviamente, non potrà mai andare ad alterare il trattamento che la legge stabilisce ad ogni classe di creditore per effetto delle cause di prelazione. L’ultimo comma dell’art. 124 della Legge Fallimentare, poi, stabilisce che la proposta di concordato può prevedere anche “la cessione, oltre che dei beni compresi nell’attivo fallimentare, anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice delegato”. La proposta di concordato deve essere presentata al Giudice Delegato. Quest’ultimo, dopo averne valutato la ritualità, dopo aver acquisito parere del comitato dei creditori e del curatore, ordina che la proposta sia comunicata ai creditori. Il Giudice fissa, altresì, un termine entro cui i creditori possono – ex art. 125 Legge Fallimentare – far pervenire l’eventuale dissenso. Il silenzio dei creditori – ex art. 128 ultimo comma L.F. – equivale al loro consento. L’approvazione del concordato fallimentare L’art. 128 Legge Fallimentare prevede che il concordato è approvato quando riceve il voto favorevole di quei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Si segue, in tal caso, il disposto dell’art. 127 L.F. Una volta spirato il termine per effettuare le votazioni, il curatore una relazione sull’esito delle stesse al Giudice Delegato. Se la proposta è stata approvata dai creditori, il Giudice dispone che ne venga data immediata comunicazione al proponente tramite posta elettronica certificata. L’immediata comunicazione è strumentale ai fini della richiesta dell‘omologazione del concordato al fallito e ai creditori che non hanno espresso il loro consenso. Tale richiesta può essere avanzata anche tramite raccomandata con avviso di ricevimento. Il Giudice Delegato, infine, fissa un termine per proporre eventuali opposizioni.

L’omologazione del concordato

Se nessuno propone opposizione nel termine stabilito dal Giudice, il Tribunale (ex art. 129 comma 4 L. F.), verifica la regolarità della procedura e l’esito della votazione. Poi omologa il concordato con decreto motivato. Avverso tale decreto non è previsto gravame. Esso viene pubblicato ex art. 17 L.F. La pubblicazione del decreto è necessaria per l’eventuale proposizione del reclamo dinanzi alla Corte d’Appello. Scaduti i termini per effettuare l’opposizione, la proposta diventa efficace ed il concordato diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento. Il giudice delegato, il curatore ed il comitato dei creditori sorvegliano sulla esecuzione del concordato. Tale attività di sorveglianza è strumentale per verificare che il concordato venga adempiuto secondo quanto prescritto nel decreto di omologazione. Ai sensi dell’art. 137 L.F., su istanza di ciascun creditore, il concordato omologato può essere risolto. Ciò è possibile in alcune ipotesi:

  • in caso di mancata costituzione delle garanzie promesse;
  • in caso di inadempimento degli obblighi derivanti dal concordato

Su istanza del curatore o dei creditori, poi, il concordato può essere annullato dal Tribunale in due casi:

  • quando venga scoperto che è stato esagerato il passivo con dolo;
  • quando sia stata sottratta o dissimulata una consistente parte dell’attivo.

In questi due casi, la sentenza riapre la procedura di fallimento ed è anche provvisoriamente esecutiva.

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